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Webinar Dianova: “La comunità mista: il dialogo e la relazione come risorsa: il confronto di genere come opportunità”

Un incontro per parlare delle peculiarità e delle criticità delle comunità residenziali miste insieme alle Comunità Dianova di Palombara e di Cozzo e al SerD Casilina D5 Asl Roma 2

Mercoledì 13 marzo oltre 70 esperti del settore delle dipendenze hanno partecipato online al webinar “La comunità mista: il dialogo e la relazione come risorsa. Il confronto di genere come opportunità” dove sono intervenuti la D.ssa Eugenia Luraschi, psicologa – psicoterapeuta e responsabile terapeutica e il Dr. Antonino Denaro, educatore professionale della Comunità Dianova di Cozzo, la D.ssa Monica Mariotti, psicologa – psicoterapeuta e la D.ssa Giorgia Vecchi, psicologa della Comunità Dianova di Palombara Sabina.

Dopo gli interventi di Dianova hanno preso la parola alcune componenti dell’equipe del dipartimento UOS Patologie da Dipendenza D5 Asl Roma 2 – SerD Casilina, la D.ssa Valentina Arena, medico, la D.ssa Fabiola Pisciotta, psicologa – psicoterapeuta e la D.ssa Alessia Testa, assistente sociale.

Il webinar, che ha presentato anche le testimonianze di alcune donne ospiti delle strutture di Dianova, aveva l’obiettivo di offrire un approfondimento sugli interventi dedicati all’utenza femminile nel contesto della Comunità residenziale mista dove il confronto, il dialogo e la relazione rivestono un ruolo chiave durante il percorso riabilitativo per entrambi i generi.

Prima di entrare nel merito dell’intervento terapeutico nelle comunità residenziali miste è necessario dire che, nonostante le strutture terapeutiche nascano storicamente come un luogo dedicato ad entrambi i generi, oggi sono sempre più orientate ad una specializzazione per moduli, che prevede la relativa separazione dell’utenza femminile da quella maschile; infatti, la convivenza tra uomini e donne nelle strutture residenziali può essere un elemento complesso nella sua gestione ma, allo stesso tempo, può diventare una risorsa e un’opportunità per ambedue i generi coinvolti nel percorso.

Sono diverse le criticità che possono emergere nel contesto terapeutico-residenziale misto:

  • una complessità maggiore nella gestione a livello operativo ed educativo da parte dell’equipe: in una comunità mista infatti possono nascere relazioni affettive tra gli utenti che comportano un maggiore sforzo all’interno del progetto educativo personalizzato di ogni persona in quanto la relazione spesso nasconde un significato più profondo e può rappresentare una stampella o una sostituzione alternativa alla sostanza;
  • lo stigma e il pregiudizio da parte di equipe e utenti che è stato approfondito in tutti gli interventi;
  • la tenuta del gruppo: il gruppo rappresenta un elemento fondamentale all’interno delle strutture, la forte personalizzazione dei percorsi spesso richiede un grande sforzo per far comprendere le decisioni sia in relazione alle scelte terapeutiche ed educative sia in relazione alle differenze naturali di genere.

La comunità mista non presenta solo criticità ma anche opportunità in quanto la presenza di entrambi i sessi permette all’utenza maschile di aprire delle riflessioni diverse e far emergere aspetti che senza la presenza delle donne non verrebbero approfonditi e che possono essere indagati con una diversa prospettiva, tra questi:

  • sessualità, dipendenza affettiva, dinamiche relazionali, disturbi alimentari che tipicamente vengono trattati maggiormente sull’utenza femminile;
  • responsabilità genitoriale maschile: spesso il tema della genitorialità è molto più sentito dalle donne, confrontarsi con donne e madri all’interno delle Comunità permette agli uomini di porsi più domande rispetto al proprio ruolo e alla propria responsabilità in quanto genitori;
  • l’attenzione al linguaggio e ai comportamenti da parte degli uomini nei confronti dell’utenza femminile.

Per offrire un’analisi del contesto della comunità mista è necessario fare un approfondimento sull’intervento al femminile; ci sono infatti diversi aspetti che bisogna tenere in considerazione quando si parla di donne con problemi di dipendenza, infatti, quasi tutti gli interventi a loro dedicati hanno come obiettivo l’abbattimento dello stigma e dell’autostigma, la crescita dell’autostima e della dignità della persona, il miglioramento delle capacità relazionali, la cura e l’accettazione di sé.

Lo stigma in psicologia è considerato un meccanismo nel quale la persona è socialmente svalutata e giudicata per una presunta caratteristica; esso è direttamente correlato all’autostigma, “un processo di autosvalutazione messo in atto dal soggetto che finisce con il far proprio il pensiero che la società ha nei suoi confronti” (Tatjana, P., Dusan, N. & Evite, L. 2016).

La donna subisce un doppio stigma e l’esclusione sociale delle donne con problemi di dipendenza è più forte a causa della violazione delle aspettative sociali riguardanti la femminilità soprattutto se è madre, la donna è socialmente vista con un’accezione più negativa rispetto ad un uomo dipendente che è anche padre.

Se la società in generale stigmatizza le donne con problemi di dipendenza è necessario affermare che questo accade anche all’interno del contesto terapeutico, non solo per quanto riguarda il gruppo dei pari, ma anche per quanto riguarda l’equipe terapeutica; da una parte infatti la comunità mista offre l’opportunità di poter lavorare con entrambi i sessi per poter superare gli stereotipi negativi (le donne non sono adatte a lavorare nella manutenzione, devono stare in cucina, etc…) permettendo di far riflettere l’uomo sulla percezione distorta che ha della donna e allo stesso tempo aiutare la donna ad autodefinirsi e a proteggersi. Dall’altra parte però si corre il rischio che il professionista che lavora con la donna con problemi di dipendenza metta in atto meccanismi protettivi, giudicanti o riponga eccessive aspettative chiedendo loro più di quanto riescano a portare a termine.

In sintesi, prendere in carico una donna comprende per tutta l’Equipe una serie di questioni etiche, morali e personali che partono dai propri pregiudizi e dalle convinzioni spesso frutto della società in cui tuttə noi siamo cresciutə.

Parità di genere, differenza di genere sono termini che sentiamo ripetere spesso; al giorno d’oggi costruire una società più paritaria è un obiettivo comune che interessa diversi ambiti, purtroppo però se pensiamo a questi concetti applicati al problema della dipendenza al femminile stigma e pregiudizi sono ancora troppo presenti; infatti i dati ci dicono che le donne con un disturbo da uso di sostanze subiscono anche dai servizi dedicati alle dipendenze una stigmatizzazione sociale più forte rispetto agli uomini; a livello italiano i dati ci indicano che le persone in carico ai servizi sono per l’85,5 % uomini, un dato che rivela anche la tendenza delle politiche sociali a favorire gli uomini piuttosto che le donne.

L’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze (EMCDDA) nella ricerca Women and drugs: health and social responses evidenzia come il divario di genere si sia ridotto tra la popolazione più giovane e quanto il genere femminile tenda più velocemente verso la dipendenza (fenomeno del “telescoping”); la ricerca fa emergere inoltre le problematiche specifiche basate sul sesso e sul genere che possono influire sul problema della dipendenza: lo stigma (di cui abbiamo già ampiamente parlato), i problemi socio-economici (solitamente le donne con problemi di dipendenza hanno infatti un reddito inferiore rispetto agli uomini), la relazione con i figli (un fattore chiave durante la fase di recupero) e il contesto famigliare (spesso le donne con problemi di dipendenza provengono da famiglie dove è già presente un problema di uso/abuso e è probabile che abbiano partner che a sua volta ha problemi di dipendenza).

È importante che tutti i servizi siano più accessibili e tengano presente queste barriere, alle donne deve arrivare il messaggio che esistono, che sono viste e che possono contare su spazi accoglienti e interventi individualizzati che favoriscono lo sviluppo dell’autostima, dell’empowerment, l’apprendimento e lo sviluppo delle competenze, la possibilità di elaborare le proprie storie di vita, di riappropriarsi del potere su loro stesse e di imparare a darsi valore.

Affinché tutto questo sia possibile è importante cambiare punto di vista e non pensare alle donne con disturbo da uso di sostanze solamente come “soggetti a rischio” pericolose per sé e per gli altri, ma aiutarle a potenziare la loro capacità di prendersi cura di sé, aiutarle a rivedere i modelli femminili, a ripensare il proprio approccio all’altro, ai ruoli che vengono culturalmente assegnati e ai partner che scelgono di avere al loro fianco. È necessario aiutarle ad abbandonare un’idea svalutante del proprio corpo e del proprio essere donna, di ideali fiabeschi in termini di coppia, di deresponsabilizzazione rispetto alla propria salute e benessere permettono alla persona di vedersi sotto un altro punto di vista, più autonoma, autoefficace e capace di prendersi cura di sé.

Il lavoro dei servizi per cui è focale nell’aggancio e nella presa in carico, è proprio qui che nasce il contatto e si sviluppa il legame e la relazione di fiducia con l’utente creando la necessaria alleanza terapeutica che permetterà alla donna di affidarsi e fidarsi.
È proprio il servizio attraverso la valutazione multidisciplinare che sarà in grado di individuare il percorso di cura più adeguato.

Il percorso di cura in una comunità mista non è solo rispetto alle sostanze, ma è un processo riabilitativo a 360 gradi, che parte dalla relazione tra uomini e donne che offre l’opportunità di affrontare i rapporti tra i due generi in un’ottica di riabilitazione sociale.

In un percorso riabilitativo il lavoro di rete dei vari servizi coinvolti (Servizi, Comunità, servizi sociali, tribunale dei minori etc…) può essere molto complesso, infatti se non c’è una buona collaborazione si rischia di favorire la frammentazione degli interventi. Oltre ad essere essenziale per coordinare gli interventi, è fondamentale mantenere una continuità nella relazione in tutte le fasi del percorso, il distacco dai servizi così come la conclusione del percorso terapeutico in comunità sono momenti spesso percepiti, in particolare dalle pazienti donne, come una separazione: questi momenti devono essere ri-definiti perché la separazione non venga vissuta come una rottura del legame ma come un momento di crescita e di autodeterminazione.

In conclusione il webinar “La comunità mista: il dialogo e la relazione come risorsa: il confronto di genere come opportunità” è stata un’occasione per dare voce a tutti i punti di vista con interventi dei servizi, delle donne ospitate nelle strutture di Dianova e di chi lavora con loro ogni giorno per aiutarle a riscrivere la propria storia nell’ottica di stimolare riflessioni che aiutino il nostro settore a superare le differenze tra i sessi e lavorare invece verso una prospettiva di parità di genere.

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