Cerchiamo di fare ordine.
ll termine inglese “MF” è la traduzione del termine sanscrito “sati” che significa consapevolezza. La pratica della consapevolezza è stata insegnata più di due millenni fa dal principe Siddharta Gotama (circa 566-486 a.C.) conosciuto come il Buddha il quale ha insegnato i principi fondamentali della pratica della consapevolezza mentale nel “Grande discorso sui fondamenti della presenza mentale”.
La sua entrata nel campo della psicologia clinica è databile con precisione con la pubblicazione del libro di Kabat-Zinn, ma la sua “scoperta”, se di scoperta si può parlare, è di impossibile una datazione, poiché in tutte le correnti spirituali delle diverse religioni si può ritrovare il richiamo a conseguire una particolare qualità di attenzione nei confronti del momento presente. La MF dunque è un’espressione nuova con un cuore molto antico, derivato dalla psicologia buddhista, che è essenzialmente una via pratica per conoscere la mente e per liberarla dai condizionamenti ma si ritrova anche nel cristianesimo, nell’induismo, nel taoismo, nell’islamismo e nell’ebraismo anche se persegue un atteggiamento laico.
Jon Kabat-Zinn (biologo molecolare) nel 1965 inizia una meditazione personale che lo porta, nel 1975 ad aprire la prima clinica per la riduzione dello stress basata sulla necessità di coltivare la Consapevolezza, presso il Medical Center dell’Università di Worcester (Boston – Massachusetts). Suo scopo era quello di aiutare le persone a ridurre il dolore e lo stress attraverso un percorso strutturato, da lui ideato, che univa alla millenaria esperienza delle tecniche meditative, aspetti scientifici e psicoeducazionali nell’ambito della medicina comportamentale. La MF si riferisce ad uno stato mentale, ad una modalità dell’ essere non orientata a scopi, il cui focus è il “permettere al presente di essere com’è e permettere a noi di essere, semplicemente, in questo presente”. Molto importante è definire anche cosa NON è la MF: NON è una fuga dalla realtà, ma, al contrario, è essere profondamente radicati nella realtà; NON è una forma di trance, la mente MF è caratterizzata da lucidità e chiarezza; NON è una condizione “mistica”, in essa viene superata la divisione corpo e mente.
Le 4 abilità della Mindfulness sono:
- sapere dirigere la propria attenzione;
- avere un atteggiamento “esplorativo” per ciò che sento e “curioso” rispetto alla propria esperienza;
- modificare la percezione della propria esperienza soggettiva ed oggettiva (intimo distacco);
- sapere vivere l’esperienza presente.
Gli esseri umani in ogni istante della loro vita possono essere consapevoli o inconsapevoli, non si dà una terza condizione. La MF è una delle forme più efficaci di rieducazione mentale alla consapevolezza. Generalmente gli esseri umani passano la maggior parte della loro vita nell’inconsapevolezza, con conseguenze potenzialmente gravi sia per sé stessi che per gli altri. Un dato psicologico fondamentale che favorisce l’inconsapevolezza è che essa costa meno fatica della consapevolezza. Per passare da una condizione d’inconsapevolezza ad una di consapevolezza è necessario esercitare una forma particolare di attenzione volontaria definita “attenzione esecutiva”. Soltanto attraverso lo sforzo attentivo il soggetto diventa capace di bloccare le risposte automatiche, che tendono a riportarlo nell’inconsapevolezza degli automatismi.
In uno stato mentale inconsapevole la capacità mentale è nettamente inferiore rispetto allo stato consapevole. Inoltre, la consapevolezza favorisce l’apertura a punti di vista differenti e la scoperta che ci possono essere tante opinioni quanti sono gli osservatori. Queste esperienze possono determinare lo sviluppo della flessibilità mentale. La pratica constante e la meditazione basta sulla MF ha questo scopo e consiste in un insieme di procedure per sviluppare la consapevolezza durante la pratica meditativa al fine di estenderla a ogni aspetto della vita. Questo tipo di consapevolezza non è neutrale ma è in qualche modo sbilanciata verso la gentilezza, il lieve sorriso e l’atteggiamento non giudicante. La pratica della gentilezza tende a favorire la nascita della compassione verso se stessi e verso gli altri. L’atteggiamento non giudicante riduce la tensione al controllo e facilita lo sviluppo della capacità di abbandonarsi alla vita, di non attaccarsi alle ‘cose’ ma di lasciarle andare. In definitiva, la pratica della consapevolezza permette di sviluppare una condizione psicologica, chiamata “presenza mentale”, nella quale il soggetto riesce ad essere presente alla complessità sensoriale del “qui e ora”.
Possiamo quindi dire che la pratica Mindfulness consiste nella capacità di sviluppare e mantenere un’attenzione consapevole; non è dunque una tecnica di rilassamento bensì una pratica per sviluppare l’attenzione volontaria. Si tratta di accogliere il presente così com’è; è un’educazione mentale che ci insegna a fare un’esperienza del mondo completamente nuova; un passaggio dalla modalità del “fare” (come dovrebbe essere le cose) alla modalità dell’ “essere” (cioè del come le cose sono realmente). La MF non cambia i contenuti della nostra mente ma le nostre relazioni con essi. Non vuole essere una terapia dei disturbi bensì uno strumento che può essere integrato ad una terapia. Integrato ma non sostitutivo ad essa.
Nell’ambito delle problematiche legate alle tossicodipendenze, un approccio che ha restituito prove di efficacia è il MBRP – Mindfulness Based Relapse Prevention (Bowen, Chawla & Marlatt, 2010) sviluppato nel Centro di Ricerca Addictive Behaviour dell’Università di Washington. Simile al Mindfulness-Based Cognitive Therapy per la depressione, l’MBRP è concepito come un programma di integrazione delle prassi scientificamente fondate sulla MF con i principi della terapia cognitivo-comportamentale applicati alle dipendenze. Le pratiche di cui è composto il programma MBRP hanno lo scopo di promuovere e favorire maggiore consapevolezza dei trigger legati all’uso di sostanze, agli schemi abituali implicati nei comportamenti di dipendenza e delle reazioni “da pilota automatico” che portano a mettere in atto comportamenti disfunzionali di uso e abuso. Le pratiche di MF previste del MBRP sono progettate per promuovere l’osservazione dell’esperienza presente e portare consapevolezza rispetto alla gamma di scelte che ognuno può mettere in atto. Il lavoro con la MF è volto, quindi, ad aumentare la possibilità dell’individuo di rispondere agli impulsi attraverso comportamenti “utili” e adeguati e a non re-agire con modalità dannose per la salute e per il benessere psicologico.
Il crescente interesse per le terapie integrate “mind-body” focalizzando la ricerca sulla valutazione degli effetti terapeutici delle tecniche di meditazione ne ha sviluppato l’inserimento nell’ambito dei percorsi clinici relativi al trattamento della depressione e attacchi di panico, del disturbo borderline di personalità (metodo Linnehan), dei disturbi del comportamento alimentari e delle dipendenze patologiche da sostanze. Numerosi lavori della letteratura scientifica internazionale ne hanno dimostrato l’effetto anti ricaduta (relapse prevention) e quello di riduzione dell’uso anche grazie ad un maggiore controllo del craving.
A fronte di una relativa facilità a disintossicare una persona dipendente, ci troviamo spesso in grandi difficoltà a prevenire il rischio che la stessa ricominci l’uso di quella sostanza (o comportamento) e ne divenga in breve tempo nuovamente dipendente. Infatti, il problema più grande nella dipendenza è la prevenzione delle ricadute, tanto che essa viene definita dall’OMS come una “malattia cronica recidivante”. La percentuale di ricaduta, secondo la letteratura scientifica, varia tra il 40% e il 60% dei casi in trattamento (McLellan et al., JAMA, 2000), in modo simile alle percentuali di ricaduta di altre malattie croniche. In relazione al trattamento si preferisce in realtà parlare di un “cambiamento dello stile di vita” rispetto al comportamento patologico, piuttosto che di “guarigione”. Nella ricaduta non gioca un ruolo solo la componente astinenziale, legata a determinate sostanze (alcol, eroina, ecc.), ma anche un’altra componente, indipendente dall’astinenza e che ha a che fare con il “desiderio irrefrenabile” (“craving”, compulsione) di assumere nuovamente la sostanza tossica o di ripetere il comportamento dannoso.
Va in questa direzione il progetto dell’ambulatorio di Mindfulness per il trattamento delle dipendenze e la prevenzione delle ricadute attivo presso la ASL di milano al quale possono accedere gratuitamente le persone residenti a milano e provincia che presentano problematiche legate all’uso di sostanze ed alle nuove dipendenze. E’ ormai al suo secondo anno di attività e pare confermare i dati che troviamo in letteratura ma aspettiamo la fine del progetto per farne un bilancio definitivo.
Sull’argomento ci terremo aggiornati!
Dott.ssa Micaela Barnato