Il Dr. George De Leon è un esperto riconosciuto internazionalmente nell’ambito del trattamento dell’abuso di sostanze e rappresenta un’autorità nella ricerca sulle Comunità Terapeutiche. Oltre a numerosi articoli di ricerca, il Dr. George De Leon ha elaborato notevoli contributi nell’ambito della pratica clinica e nell’educazione professionale. George De Leon si occupa di formazione sulle comunità terapeutiche ai laureandi in psichiatria, psicologia, infermieristica, operatori sociali, etc … Il Dr. George De Leon, inoltre, è Direttore del Centro di Ricerca sulle Comunità Terapeutiche a New York e Professore di Psichiatria di Ricerca nell’Università di New York.
Michele Bellasich, rappresentante di Dianova International e responsabile di Dianova Svezia, l’ha incontrato durante la conferenza mondiale del WFTC (World Federation Therapeutic Communities) a Bali e intervistato.
Come ti è venuto in mente di implementare Sistemi Integrati Orientati al Recupero?
Il Sistema Integrato Orientato al Recupero (Recovery Oriented Integrated System – ROIS) è stato elaborato come risposta alla marginalizzazione del modello di trattamento nelle Comunità Terapeutiche. Le pressioni relative ai finanziamenti, hanno ridotto drasticamente la durata prevista del trattamento, una politica che contraddice la scienza che documenta la relazione tra ritenzione e risultati negli studi in Comunità Terapeutica. Il ROIS è il paradigma di un approccio sistemico e crea un collegamento di collaborazioni tra i vari servizi preposti per coordinare il trattamento, il reinserimento e i servizi sociali.
Esiste un interesse crescente verso i Sistemi Integrati Orientati al Recupero; ho sviluppato questo approccio per la prima volta per poter offrire un’assistenza continua alle persone in trattamento, soprattutto a quelli che escono dalla Comunità Terapeutica. La maggior parte dei servizi hanno molta conoscenza della fase di trattamento e di reinserimento, ma solo dal punto di vista di un programma specifico, invece di pensare che la persona deve uscire realmente dal programma e continuare la sua riabilitazione in un mondo che è separato dal programma. È così che mi sono accorto che la formula originale dell’approccio della Comunità Terapeutica, che include la fase di reinserimento, poteva essere una base per orientare le politiche e lo sviluppo di approcci sistemici.
Il Modello della Comunità Terapeutica si basa sui risultati?
Nonostante decenni di ricerche sui risultati delle Comunità Terapeutiche, i responsabili politici, cioè i finanziatori, ma anche molti scienziati, continuano a mettere in discussione le Comunità Terapeutiche come alternativa di trattamento basata sui risultati, soprattutto quando le stesse vengono comparate con trattamenti farmacologici e trattamenti comportamentali molto limitati come la terapia motivazionale o cognitivo-comportamentale, che non sono programmi, ma modelli di trattamento con un’unica dimensione.
È giusto però riconoscere i limiti dei risultati che abbiamo: abbiamo un campo di ricerca considerevole, ma tuttora ci confrontiamo con una relativa mancanza di sperimentazioni cliniche random, questa è la ragione per cui molto spesso si afferma che l’efficacia del trattamento attraverso il modello della Comunità Terapeutica non è stata “dimostrata”, affermazioni che possono avere gravi conseguenze per l’accettazione e lo sviluppo futuro del modello di trattamento in Comunità Terapeutica.
In realtà, da molti anni e in vari paesi, le ricerche dirette di varie fonti, affermano che la Comunità Terapeutica è un modello di trattamento efficace e conveniente, soprattutto per le popolazioni più difficili, quelle persone con un quadro severo di abuso di droghe e con problemi sociali e psicologici gravi.
In un recente numero della Rivista Internazionale delle Comunità Terapeutiche (The International Journal of Therapeutic Communities), interamente dedicato alle Comunità Terapeutiche, ho scritto un articolo che riassume questi risultati; mentre il resto della rivista è dedicata ad approcciare altre aree specifiche, inclusi gli studi comparativi dei costi, l’efficacia delle Comunità Terapeutiche nelle carceri americane, l’efficacia delle Comunità Terapeutiche per persone con problemi di disturbi mentali e abuso di droghe.
La maggior parte dei critici continua a fondare la propria opinione su studi randomizzati. Questo è un grave problema di fondo per la scienza, una scienza non può discutere con un’altra su cosa è risultato e cosa non lo è.
Certamente, dobbiamo fare uno sforzo per cercare di sviluppare studi randomizzati con l’intento di avere maggiori prove sull’efficacia della Comunità Terapeutica, questo potrebbe essere un contributo importante alla ricerca delle scienze sociali, chiaramente, questi studi sono molto difficili da sviluppare perchè è difficile rispettare criteri base necessari per gli stessi.
Voglio essere chiaro: non credo che sia necessario fare questi studi, però penso sia necessario farli semplicemente perché esserne carenti è una debolezza. Se siamo capaci di sviluppare questi studi randomizzati, ci darebbero la prova definitiva dell’efficacia del modello della Comunità Terapeutica per il trattamento delle dipendenze. Se non possiamo, allora, bisognerà che cambi tutta la prospettiva della scienza, ci sforzeremo di creare un’accettazione maggiore dell’enorme quantità di materiale e di ricerca sviluppata durante gli anni.
In Svezia, dove lavoro, gli esperti delle dipendenze, sono sempre più preoccupati per i problemi psichiatrici delle persone consumatori di sostanze e altri problemi come quello dell’inclusione sociale. Secondo te, come dovremmo affrontare questi problemi?
Questa domanda comprende vari aspetti. Un utente in trattamento, generalmente, si sta confrontando con molteplici problemi ed ha un breve periodo di tempo per affrontarli. Questo è un problema con il quale tutto il mondo si confronta, in tutti i metodi di trattamento, incluse le Comunità Terapeutiche. Dopo una lunga esperienza di oltre 50 anni di lavoro delle Comunità Terapeutiche, sappiamo che dobbiamo definire adeguatamente la popolazione che stiamo trattando.
Oltre al suo abuso di sostanze, dobbiamo sapere il tipo di problemi che ha una persona che entra nel programma: problemi psicologici o psichiatrici, come la schizofrenia, o problemi sociali, come la mancanza di una dimora o un deficit nel livello di studio. La nostra strategia di trattamento dovrebbe centrarsi sul problema dell’abuso di sostanze, ma anche occuparsi di tutti gli altri aspetti.
È necessario valutare correttamente il sottogruppo così da costruire una risposta di trattamento idonea, altro punto critico.
L’elemento successivo importante è la durata e il luogo del trattamento. Come ben sai, quando si parla di programmi residenziali, ci riferiamo al luogo dove il programma si sviluppa. Frequentemente, le Comunità Terapeutiche usano contesti residenziali.
Dovremmo poi iniziare a pensare di come definire un contesto capace di ottimizzare l’uso della Comunità Terapeutica. La ricerca è stata molto netta su questo tema: quando ci si confronta con un problema di abuso di sostanze grave, per aiutare a stabilizzare l’utente, un contesto residenziale è il più indicato, almeno all’inizio del programma di trattamento.
Questo periodo di 3 o 4 mesi di tempo, ci permette di identificare il livello dei problemi presenti nell’utente e si individuerà come affrontarli. Bisogna sviluppare un approccio sistemico con il fine di dare continuità, ad esempio come quello di utilizzare una Comunità Terapeutica adatta, seguita da un periodo di 6 mesi in una struttura di appoggio capace di garantire un supporto addizionale per le persone con problemi di disturbi mentali.