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Il racconto di una mamma

Non ricordo nemmeno come abbiamo conosciuto Dianova; dopo svariati tentativi e alti e bassi continui, momenti in cui sembrava che mio figlio fosse riuscito a rialzarsi ma invece ricadeva, la sua dipendenza era diventata quasi la nostra. Mio figlio era disperato ma deciso a riabilitarsi, aveva bisogno di prendersi del tempo e di allontanarsi. Cosi è arrivato a Dianova.

Io e mio marito abbiamo accompagnato nostro figlio in Comunità e durante il tragitto in macchina aleggiava il silenzio. Vicino alla speranza di accompagnarlo verso un nuovo percorso c’era un dolore sordo, vuoto, duro, senza parole, ci sembrava di abbandonarlo, di affidarlo a qualcun altro…

Quando siamo arrivati ci hanno subito accolto con molto calore, ma io stavo lasciando in quel posto il mio bene più grande! 
Guardavo quei volti, quelle facce che portavano i segni di anni vissuti con la droga e continuavo a ripetermi che il mio Andrea non c’entrava nulla con loro, che cosa ci faceva lui qui in Comunità?

Ma non avevamo altra scelta: dovevamo fidarci di chi poteva provare a fare qualcosa per lui perché noi, non ci eravamo riusciti.

Nel tempo che Andrea ha passato in Comunità abbiamo avuto modo di essere accompagnati anche noi durante il percorso. Abbiamo incontrato spesso gli operatori, gli psicologi e tutti i professionisti che lavorano in Dianova e abbiamo capito: non erano i volti scavati, i denti rovinati, i segni sul corpo o le storie famigliari drammatiche a fare di qualcuno un “drogato”.

Sono i segni invisibili, le fragilità dell’anima, gli episodi della vita…

Insieme a loro abbiamo cercato di indagare i motivi: abbiamo capito che non ci sono colpevoli, che ciò che è successo a mio figlio può succedere a un altro e che in queste situazioni l’amore di un genitore non basta.

Abbiamo capito che per una ragione o per un’altra, quello che magari inizia per un gioco, un diversivo o per noia, può diventare una prigione ma che accanto alle fragilità ci sono sempre delle risorse sulle quali poter contare per cambiare la propria vita.

La droga è uno dei problemi che i nostri figli possono incontrare durante la vita e da genitore vorresti proteggerli e difenderli anche dalla dipendenza; quando succede devi affrontarla, affidarti a qualcun altro e chiedere aiuto.

Oggi Andrea ha 30 anni, ne è passato di tempo da quando abbiamo affrontato insieme il percorso in Dianova. A volte mi è capitato di guardarlo negli occhi e chiedergli “Andrea, ma secondo te, perché hai vissuto questo problema? Che cosa abbiamo sbagliato noi come genitori?” perché alcune cose sembrano non trovare una risposta, nonostante il tempo passi e le cose cambino…

“Mamma, ma non usare la parola sbagliare…io mi sento di dire che per fortuna in quel momento c’eravate voi!”

Da ciò che dice mio figlio, dalle parole che ho sentito pronunciare dalle altre famiglie durante gli incontri di gruppo in Comunità e dai discorsi degli operatori ho capito una cosa fondamentale: a volte non puoi controllare le cose che capitano, ma puoi sapere come agire SE capitano. Ho capito che la dipendenza da droghe esiste e che chiunque può viverla a prescindere dalla scuola, dalle amicizie e, a volte, dalla famiglia. Non esistono genitori perfetti e non esistono genitori che possono impedire ai propri figli di vivere momenti difficili; ma ascoltando senza giudizi, comprendendo con sensibilità e chiedendo aiuto quando serve, ogni genitore può davvero supportare il proprio figlio.

Io ho avuto la fortuna di incontrare Dianova, dove quotidianamente ci sono persone che affrontano le speranze, le delusioni, le rinascite e i cambiamenti di ogni ragazzo a cui tendono una mano. Di una cosa sono certa: non ho potuto impedire che Andrea vivesse un problema di dipendenza ma ho agito subito per offrirgli aiuto, senza nascondermi e senza provare vergogna, e credo sia questa la vera natura dell’essere madre o padre, saper affrontare qualsiasi esperienza dei propri figli, anche la più dolorosa, con coraggio e amore.

Ho deciso di raccontare la mia storia perché quando credevo di aver fallito come madre ho trovato qualcuno che oltre ad accompagnare mio figlio, ha accompagnato anche me. Perché per anni ho creduto che certe cose non potessero capitare alla mia famiglia, perché quando ho visto per la prima volta i ragazzi della Comunità che sarebbero stati compagni di Andrea durante il suo percorso non capivo perché “fosse capitato proprio a noi”.

Ma poi, alla fine, in quei volti scavati, in quei denti rovinati, in quegli occhi spesso vuoti … ci sono sempre i figli di qualcuno.

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